Vivere il tempo nella perseveranza
Una riflessione di fine anno 2016
 

Dire che il tempo sia la cosa più preziosa che abbiamo è quasi dire una banalità. Ed oggi più che mai. Dal momento che la società consumistica e individualistica in cui viviamo ci obbliga a “capitalizzare” il tempo in modo ossessivo a tal punto che ogni individuo del nostro tempo è altrettanto ossessionato dal bisogno di avere molto tempo tutto per sé e, quando non lo trova, si sente frustrato e in preda all’irritazione costante. Si pensa, infatti, che la nostra felicità risieda nell’avere a disposizione tutto il tempo possibile e qualsiasi cosa ce lo sottragga diventa, per l’individualismo contemporaneo, un motivo di forte rammarico, per non dire di silenziosa ribellione.
Sotto il profilo spirituale, anche il cristiano sa che il tempo è qualcosa di prezioso ed anzi di decisivo: è lo spazio in cui si dispiega la nostra vita, in cui giochiamo il nostro destino, perfino il nostro destino eterno. Ma, a differenza dell’individuo materialista e consumista, questa accentuazione del destino eterno è quanto lo distingue da moltissime persone del nostro mondo contemporaneo poiché per lui si tratta di perseverare nella fede e non soltanto di credere. Di fatto, c’è il tempo che passa e c’è il tempo che dura, notava Mons. Mariano Magrassi. Quando i giorni e gli anni si addizionano l’uno sull’altro, e la monotonia e la malinconia ci assale, non è facile tenere viva la fiamma iniziale. E conservare intatta la fedeltà a noi stessi e a Dio. Ai nostri ideali e al nostro incontro con il Signore.
Tutti sono bravi nel vivere lo slancio di una momento privilegiato dell’esistenza. Quando si ha vent’anni è relativamente facile scoprirsi pieni di entusiasmo per qualche nostra scelta e per di più con la scelta religiosa e cristiana. Più difficile è invece provare questo entusiasmo quando il passare degli anni ha logorato molto di quell’entusiasmo iniziale e ci obbliga, per così dire, a scendere più in profondità nei nostri ideali e nel nostro rapporto con il Signore Gesù. Questo, ahimè, non è da tutti e, soprattutto, non sembra del nostro tempo in cui la maggiora parte di persone cambia continuamente posizione e scelte di vita.
Giustamente, diceva Péguy: “Quando si è poeti a vent’anni, non si è poeti. Se lo si è a quarant’anni, allora sì si è poeti”. Mantenere la fedeltà attraverso il tempo, è sapere accettare, anche sotto il profilo della fede, “le lentezze di Dio”. Le lentezze per la nostra fretta umana: la nostra vita è breve, perciò noi abbiamo sempre fretta. Il Signore, invece, ha tutto il tempo dalla sua parte, anzi ha l’eternità dalla sua parte e vuole, da parte nostra, la pazienza.
Questa pazienza è indicata stupendamente da un parabola raccontata da Marco: “Il Regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non sa. Poiché la terra produce spontaneamente , prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno della spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura” (Mc 4,26-29. Bellissima parabola, adatta ad un riflessione profonda quando ci sentiamo scoraggiati, soli e quasi immersi nel silenzio di Dio! Sembra che Gesù risponda: guardate l’uomo dei campi, aspetta con pazienza, ma l’ora di Dio viene irresistibilmente. Il seme è gettato. Dio non lascia mai nulla di incompiuto. Lui che ha cominciato l’opera buona, la porterà a compimento fino alla “perfezione” (Fil 1,4).
Ogni inizio, nella realtà di Dio, è la garanzia del compimento. Aspetta con pazienza, e ogni giorno ricomincia l’avventura della fede, ogni giorno! Sappi rischiare, abbandonandoti all’imprevisto di Dio, sotto la guida del suo Spirito, senza esitazioni e credendo a tutti i costi nell’azione della sua grazia misericordiosa.
È la fedeltà, la perseveranza che il Signore ci chiede attraverso il crogiolo, non sempre facile e luminoso, del tempo. Il signore ci chiede la serietà e la perseveranza nella fedeltà alla bontà della nostra esistenza.
 
Carmelo Mezzasalma
 
(da una riflessione di Mons. Mariano Magrassi, Afferrati da Cristo, pp. 98-100)

 

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